Note sugli ippodromi

Luna Park 1932
Luna Park 1932

Milano, aprile 1932. (…) Mentre gli allievi di De Montel non trovano la buona via della vittoria con grave disappunto dei sostenitori della giubba nera cucita in bianco, tanto usa ai successi sino a tutto il 1930, intorno dunque non v’è molto che ci spinga ad esaltare i cavalli giovani, oltre ai due maschi citati, a Faustino e specialmente a Don Garzia messosi in prima linea col terzo posto preso tanto vicino a Jacopa e ad Agrifoglio nell’arrivo disperato del « Regina Elena ». Quelli di Tommy Never non vanno assolutamente: Adera passata subito all’allevamento fu l’ombra di quello ch’era nell’autunno scorso, e la rivelazione annunciata di Aristillo ben presto s’è spenta perché il cavallo della Razza di Soragna si è fatto battere dal buon Gabbianello dopo un attimo in cui aveva suscitate grandi speranze. Bona Mens tutt’ora non è comparsa e così il grigiore nei ranghi dei puledri non s’attenua malgrado i nostri curiosi desiderii e le nostre vive aspirazioni nel progresso delle razze dei purosangue. Tanto ci si vede poco chiaro che dovremmo cercare in una importazione il soggetto più promettente venuto fuori in aprile, Jacopa esclusa s’intende: alludo a Luna Park, una figlia d’oscuri genitori non ignoti — nata da Allenby e Lowstep in Irlanda, se non erro, e acquistata assai a buon mercato dall’oculato Cino Corbella, ceduta poi alla simpatica scuderia del Conte Luchino Visconti di Modrone non certo per molti quattrini. Luna Park ha corso tre volte e tre volte ha vinto salendo man mano di classe per arrivare al Premio degli Allievi Fantini, là a San Siro, e sconfìggere molto facilmente Faustino, Doro, Cartone e Lattosio, tutti stimabili galoppatoi anche se non famosi per adesso. Tale schiacciante successo, riportato con un minuscolo bambino in sella, un certo Passarini che pesa meno di 40 chili, e ch’è alle sue primissime armi, costringe a considerare Luna Park come cavalla proclive a figurare tra poco ottimamente in ottime compagnie, checché ne pensino due miei valorosi e valenti colleghi, i quali legati a filo doppio alle leggi genealogiche non vogliono mai ammettere la bontà d’un cavallo se… non nasce da magnanimi lombi. Non oso certamente intavolare discussioni con codesti scientifici dell’ippica, ma però se Luna Park farà vedere la coda a qualche figlio di grande stallone prossimamente, come credo possibile e persino probabile, allora tirerò a galla la mia anziana teoria scettica ch’esclude la necessità assoluta del gran sangue per avere un buon cavallo; e allora i due cari amici dimenticheranno il crudele loro disprezzo e s’affretteranno a scovare antenati famosi della puledra del Visconti e vi regaleranno il nome del capostipite che non può fallire mai. E in questo modo elegante i fedeli della purezza delle origini avranno sempre ragione da vendere perché i cavalli da corsa tutti possono alla lunga vantare la nobiltà delle loro antiche famiglie. Così saremo d’accordo, io nello stimare Luna Park soggetto di prim’ordine e loro nel lodare gli scoperti antenati. Va bene?

La rievocazione del « Gran Premio di Milano 1932 »

Luchino Visconti e Sanzio. Gran Premio Milano, San Siro 1932
Luchino Visconti e Sanzio. Gran Premio Milano, San Siro 1932

Milano, luglio 1932. Nel regno dei purosangue vi sono privilegiati e diseredati, fortunati e derelitti, occupati e disoccupati, tal quale da che mondo è mondo accade tra di noi miseri mortali. Quelli che stanno in alto nella scala dei valori dunque godono una vita più agiata e non scevra di vantaggi, hanno case migliori e mille comodità, servitù e cure abbondanti, lussi di ogni genere e persino le loro brave vacanze estive alla salubre salsedine del mare e alle arie balsamiche delle colline fresche. Cavalli di eletta razza ed uomini di censo elevato quando vien la estate abbandonano, chi più chi meno, il lavoro e gli affari, per concedersi quei riposi fisici e spirituali che, a detta degli igienisti d’ogni tempo, son ben necessari tanto ai giovani quanto agli anziani a due e a quattro… zampe.

È il periodo di rifatta dei muscoli affaticati e delle menti logorate, per tutti: soltanto i paria degli ultimi gradini restano inchiodati alle piste e alle città. Gli altri sgombrano lietamente i centri delle occupazioni e se ne vanno a ritemprarsi. Di fatti i purosangue d’alta classe dal luglio al settembre scompaiono dalla scena ritirandosi fedelmente accompagnati per rimettersi in gamba — e qui le gambe appunto spesso abbisognano d’una tregua al logorio — in attesa degli ardui cimenti che li faranno sortire di nuovo nell’autunno.

In quanto alla massa grigia della mediocrità aurea cedesti lussi forzatamente son ridotti alla varietà allegra, ma sempre abbastanza faticosa, delle mezze vacanze al verdeggiante Parco Reale di Monza, alle fiorite Bettole di Varese e all’azzurro splendente dell’Ardenza di Livorno. Là le giostre continuano, mentre i pochi privilegiati da gran signori oziano in assoluto riposo lontano dagli ippodromi minuscoli ed eleganti ove l’obbligo di divertire il pubblico e di guadagnarsi la biada non concede interruzioni. Leggi comuni ai cavalli e agli uomini.

Ma non crediate però che in questo scorcio estivo le gesta del primo semestre ippico possano essere scordate dai puristi, intanto che gli eclettici delle corse son svagati assai simpaticamente dalle « notturne », dilagate da Milano a Roma e a Bologna, dedicate ai mezzo-sangue. Neppur per sogno: i ricordi restano a dominare la tregua della passione e commenti e chiacchiere non hanno posa, come si conviene ad uno sport nel quale affiora sempre il piacere della critica, più o meno serena, a seconda dei tifi particolari determinati dai diversi microbi coltivati dai diversi colori delle scuderie. Per esempio tutti noi non possiamo ancora passare alla storia definitivamente il maggior premio dei calendari italiani, l’ex mezzo milione, che ancora forma l’orgoglio sano di quanti sanno l’importanza sociale ed economica dell’ippica nella vita della Nazione. E non si potrà tanto presto scordare il Gran Premio di Milano del 1932, corso a San Siro il 19 di giugno davanti a migliaia di spettatori convenuti nei recinti dell’ippodromo milanese, per dimostrare a chiare note come il fascino delle corse di stile non sia per nulla attutito dalle difficoltà del momento di strettezze mondiali. Pareva in quel giorno dell’imminente solstizio che la seduzione del nostro sport fugasse ogni pensiero ed ogni cura; da cento città d’Italia erano difatti accorse tutte le notissime personalità dell’ippica, e tutta quella folla anonima che con la sua fede largisce generosamente anche adesso i non pochi milioni indispensabili a queste manifestazioni costose. In oltre la gentile nuova ondata di bellezze femminili, dame e damine in abiti di tinte ardenti e misteriosamente lunghi, aggiungeva al tono dell’avvenimento principe quella grazia profumata ed eterna che sembrava nel recente passato un po’ troppo avara con noialtri. Fu davvero una gaia e fremente ripresa di mondanità che induce vieppiù all’ottimismo quanti per pietosa debolezza continuarono a tremare pel domani del galoppo e del trotto in Italia.

Alla cornice tanto brillante rispose molto bene il quadro regalateci dalla grande prova per la quale s’allineò il fior fiore delle nostre scuderie di fronte a due cavalli venutici di Francia con arie da conquistatori prepotenti.

Ed uno di questi metteva davvero soggezione perché tutti lo ricordavamo impressionante e facile vincitore del Gran Premio di Milano dello scorso anno; tanto che l’armonico anziano grigio Guernanville di nuovo montato dal celebre temporeggiatore Esling, ebbe subito l’onore d’esser installato favorito nelle quote del giuoco che si andava delineando nel campo dei dieci concorrenti. Anche il compagno Egmont, forte e robusto cavallo della scuderia Obry Roederer, sebbene soggetto da handicap, appariva qualcosa di più d’un fiancheggiatore, soprattutto perché col peso severo di 63 chilogrammi il ruolo del battistrada doveva ritenersi assurdo sui 3000 metri del percorso: Egmont logicamente doveva essere incaricato a difendere per conto suo i colori minacciosamente oscuri della vedova del grande produttore di champagne francese. Il simpatico, elegante allenatore sig. Wenger, insieme al bravo Kriegelstein, infatti pur diplomaticamente chiusi non nascondevano il compito dell’accompagnatore di quel magnifico figlio di Chubasco che ci aveva dato il grosso dispiacere dodici mesi prima sul medesimo ippodromo.

Ma, come sapete, lo spauracchio dei francesi era destinato a dileguarsi tanto completamente da rasentare l’inevitabile umorismo che sempre sfiora un fiasco troppo solenne. Guernanville dietro ad Egmont finivano alla retroguardia abbastanza miserevolmente, dando ragione a coloro i quali, studiandoli nei galoppi del venerdì precedente alla gran corsa, li avevano sfrondati da ogni possibilità: Guernanville, con un posteriore sinistro manifestamente risentito poco prometteva, e rivelava il perché del lungo riposo preso dopo la vittoria milanese ed il terzo brillante posto occupato allora nel Gran Premio di Berlino del 1931. Il grigio trionfatore nel passato dunque non era più che l’ombra di sé stesso, e rappresentava evidentemente la poca stima in noi degli ex alleati, i quali sempre ci ritengono troppo inferiori in tante cose in cui proprio non lo siamo, e specialmente nell’ippica ove viceversa, al galoppo e al trotto, dovrebbero rammentare le severe lezioni avute. In quanto al compagno, Egmont, appena visto in pista lo giudicammo nulla più d’una allegra presunzione destinata a sgonfiarsi in corsa. E così fu.

Ma può esser scusato anche Egmont esso non ha fatto più di quanto può fare da noi un buon cavallo francese di classe secondaria, molto secondaria però. Il torto fu di mandarlo in Italia. E il forte e simpatico Kriegelstein son certo che l’ha montato come l’avrebbero montato e Semblat e Rabb… che in un primo tempo erano stati annunciati quali fantini del numero due francese.

Non vi ripeterò quanto inviterebbe a ripetere la mortificazione degli inutili e poco spiritosi due chili di sovraccarico protezionistico testé imposti ai forestieri. Il risultato della gita in Italia dei vecchi della signora Obry Roederer è d’una limpida eloquenza per la tesi liberale e leale d’eguaglianza sportiva, per quella tesi che so condivisa da tutti gli intelligenti che amano nell’ippica una delle tante espressioni reali dell’energia fattiva del Fascismo. Bandiremo il rossore degli avvilenti due chili? Speriamolo per l’onore dello sport nel Regime.

Un’altra riflessione scaturisce dal Gran Premio figuratevi cosa mai sarebbe successo se l’acquazzone violento scaraventatosi giù poco dopo sulla pista fosse scoppiato soltanto un’ora prima? Semplicemente questo: Sanzio insofferente ed inadattabile al terreno pesante, malgrado le braccia forti e la mente fine d’Orsini non sarebbe sortito dal fango e un tre anni, Fenolo, avrebbe indubbiamente vinto il grosso premio. Ecco come le divagazioni sul valore dei tre anni, sul divario di peso in questa inoltrata stagione, ed i pronostici fortunati di miei ottimi colleghi sarebbero tutti insieme andati a farsi benedire e… maledire. Persino il confronto tra generazione e generazione caratteristica speciale dell’Ex Commercio, si sarebbe capovolto fornendo ai maestri tecnici conclusioni a rovescio di quelle sciorinate in base alla vittoria di un quattr’anni. Ironie non tristi di certo sempre riservate alle corse dei cavalli per coloro i quali usano prenderle quale una possibile scienza, mentre non sono che il più elegante ed il più suggestivo dei divertimenti grandiosi offerti dalle battaglie cavalleresche al cospetto della passione del pubblico che vuoi sanamente svagar lo spirito e la mente contribuendo allo sviluppo economico e morale d una fonte inesauribile di attività e di lavoro.

Ed ora soffermiamoci un istante su Sanzio (Papyrus e Scuola d’Atene) che dal nostro abile e mai invecchiato Polifemo Orsini fu condotto come meglio nessuno dei fantini di grido internazionale avrebbe potuto fare: venne alla distanza precisa per lo sfruttamento tempestivo dello sforzo con una conoscenza dell’esatta ubicazione del palo da spezzare la resistenza coraggiosa del risorto nostro miglior tre anni, Fenolo nuovo miracolo di Lorenzini, e l’attacco di Agrifoglio che nel finale del Gran Premio confermava l’impressione già data di quanto sa trarre Federico Regoli da un semplice buon puledro… sebbene per quel nero fasciato in viola rimanesse acuto ed incancellabile il rammarico della disgraziata assenza della griglia figlia di Flèchois, Sainte Bianche che aveva battuto molto regolarmente pochi giorni prima sul lungo percorso il futuro eroe del « Milano ».

Da Sanzio soprattutto non si può disgiungere la bella figura di Federico Tesio, il primo nostro allevatore, che se ora ha avuto lo stupore di vedere rimesso a nuovo da altri un suo allievo scartato e ceduto per una sommetta irrisoria in un momento di eccezionale rinuncia, insieme al piacere del compenso pecuniario di 36.260 lire assegnate all’allevatore, deve aver anche gioito per l’ennesimo trionfo dovuto alla sua fucina artistica e fortunata sempre. Sanzio pur raddrizzato forse non vale Cavaliere d’Arpino che rappresentò il più bel miracolo di scienza veterinaria dato da Tesio, come non vale di certo la classe di Apelle e neppure quella di Cranach, i predecessori di Dormello del vittorioso del « Milano » ultimo, ma ad ogni modo è sempre un prodotto che fa brillare chi l’ha messo all’onor del mondo ippico. Quindi a Tesio, fra tutti gli attori recenti, non vanno lesinate le congratulazioni specialissime… anche se quelle 300 e più mila lire furono incassate da colori meno famosi.

Mentre rievoco queste note sul Gran Premio, ecco correr la voce, confermata da ottima fonte, che Sanzio è destinato all’Internazionale di Ostenda e forse più tardi all’Arco del Trionfo, la corsa tanto suggestiva per i campioni italiani. Notizia questa che rivela lo spirito agonistico del Conte Luchino Visconti e del sig. Giuseppe Radice Fossati, i due fortunatissimi proprietari attuali del celebrato ex pensionano di Federico Tesio. Due giovanotti pieni di elettrizzante passione, nuove audaci reclute là dove sembra ben difficile spodestare gli idoli antichi. Essi meritano la buona sorte che li ha protetti in quell’acquisto per un piatto di lenticchie d’un soggetto disistimato e liquidato dal più esperto nostro uomo di cavalli: Federico Tesio prendeva il suo più grosso abbaglio, non tentava neppure le finissime cure fatte a Cavaliere d’Arpino, e gettava via Sanzio ch’era raccolto dai due sportmen appena affacciati alla vita ippica. Bel caso dunque, capitato però a persone degne di simile fortuna, a persone che profittavano della magnifica occasione dedicando ogni ora alla risurrezione del claudicante purosangue. Giorno e notte furono vicini a Sanzio non appena lo videro vincere in grande stile più d una corsa severa. E lo accompagnarono al successo elevati nello spirito ardente dei neofiti dalla certezza della vittoria. Accanto ad essi v’è un modesto della famiglia preziosa dei Regoli, il taciturno Antonio, che se non ha il titolo d’allenatore per Radice-Fossati e per Visconti, pure ne è il fedele coadiutore… senza lustro ma con molto merito. Quindi tanto la risurrezione quanto la preparazione di Sanzio servono a mettere in luce giovani rari per lo sport, giovani che s’aprono un cammino lietamente in mezzo a difficoltà e a dispendi che fermarono tanti predecessori. Con pochi soldi son giunti al massimo onore. Bravi! Così i due nuovissimi elementi freschi di gioventù, di entusiasmo, d’intuito e d’intelligenza, hanno presto colto il migliore dei compensi, moralmente e finanziariamente, al loro coraggio, alla loro iniziativa, e alla loro passione squisita, dando nel contempo una bella soddisfazione a quanti nell’ippica non disperano dell’avvenire. Largo agli uomini della nuova generazione: è la lor volta.

Essi già prendono il posto dei veterani, oscurano le figure mummificate, tuttora illuse da utopie sorpassate ed umoristiche, compresa quella della insostituibilità…
Non chiacchiere vane, non velenosi discorsi, non ironie e pretese assurde di premi inadeguati agli introiti, non subdole congiure e pietose sconfitte imposte dalla ineluttabilità dei fatti. Essi agiscono e trionfano per la forza sublime della giovinezza e della fede: e vincono il « Milano » davanti a tanti colleghi anziani che spesero milioni su milioni agognando sol da lontano tal meta radiosa.

A sportivi puri d’animo e di ardire il bel cammino fiorito è aperto ed il domani radioso sorride.

Manfredi Oliva
(Il cavallo italiano)

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